venerdì 2 aprile 2010

I disastri del Pd spiegati dai disastri di Roma

Il Lazio è ancora una volta l’emblema dei problemi che tormentano il centrosinistra italiano. La vittoria di Renata Polverini porta con sé una serie di fenomeni di cui ho già parlato qui nel mio libro ma che può essere utile tornare a spiegare. Prima cosa. La sinistra (perché il Pd è quello ormai: il centrosinistra è un sostantivo che dovrebbe iniziare a sparire dal lessico della politica del partito di Bersani) ha perso come sempre nelle zone periferiche (Latina, Frosinone, Rieti, Viterbo; la stessa cosa successe due anni fa a Roma con le borgate: tutte ad Alemanno): laddove fare un’iniziativa politica non ti permetterà certo di avere tanti titoloni sui giornali ma garantisce di dimostrare al cittadino che non ti interessa soltanto avere il tuo faccione sparato nelle aperture dei telegiornali. Il centrosinistra, ancora una volta, ha creduto di essere, non si capisce per quale ragione, geneticamente superiore, dimenticandosi però che da qualche anno a questa parte nella regione in cui è nato il Partito democratico (il Lazio, appunto) non solo non esiste un partito, un coordinamento, un pivot attorno cui rifar girare il motore ingolfato della macchina del partito ma non è stato neppure ancora avvistato un solo segno di ripresa dalla sconfitta elettorale del 2008. Dopo la presa di Roma di Alemanno sarebbe stato naturale aspettarsi che il centrosinistra romano sarebbe rinato attorno a questa o a quella figura. Che avrebbe trovato la forza di costruire non dico un’alternativa ad Alemanno (tanto quella c’è: Zingaretti nel 2013) ma una nuova classe dirigente capace di fare politica e di non precipitare nell’irrilevanza totale. Non è successo, e oggi il Partito democratico sembra una macchina con un motore che gira solo per forza di inerzia ma che a guardarla bene gli manca una cosa: il pilota.

(1. continua)

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